Indicazioni bio-bibliografiche
Vincenzo Accame (1932 - 1999)
Nato a Loana (Savona) nel 1932, morto nel 1999 a Milano, città dove è vissuto sempre. Già alla fine degli anni Cinquanta, cerca di rompere la linearità della poesia verbale, agendo soprattutto sugli spazi; pochi esempi di queste pagine appaiono sul «Verri» nel 1961. L’incontro con Ugo Carrega sposta decisamente la sua ricerca verso la visualità; nasce l’esperienza di «Tool. Quaderni di scrittura simbiotica». Anche le prime mostre avvengono sotto la sigla Tool.
Il passaggio dalla verbalità alla visualità, per così dire, viene schematizzato nel volumetto Ricercari (1968). Nonostante la sempre più frequente partecipazione a mostre, l’attenzione è rivolta, soprattutto, alla pagina; come dimostrano altri volumetti: Prove di linearità (1970) e Differenze (1972). Anche se non scrive versi, continua però a tradurre poesia francese (Jarry, Eluard). Sempre impegnato in campo editoriale e pubblicistico (articoli, prefazioni, presentazioni, recensioni, anche di carattere letterario, appaiono un po’ ovunque), a lungo si occupa della rivista «Le Arti», prima curando il supplemento letterario, poi intervenendo sempre più frequentemente nei problemi delle arti visive.
Partecipa in pratica a tutte le iniziative del milanese Mercato del sale (ex centro Tool) e nel 1975 firma con Carrega, D’Ottavi, V. Ferrari, L. Landi, Mignani, Anna e Martino Oberto il manifesto della “Nuova Scrittura”. In parallelo alla sua attività creativa, procede anche quella di “cronista” della scrittura visuale e di altri fatti contigui; è in pratica interessato a tutte le possibilità di rapporto tra la parola e l’immagine, e alle relazioni, nella creatività estetica, tra vari tipi di segni. Non sono estranee a quest’ottica certe scelte affettive per poeti, per esempio, come Alfred Jarry; e neppure l’approccio a un discorso su pensiero e poesia, testimoniato dal numero della rivista «Estra» da lui curato (1980); e, tanto meno, quello tra parola e numero, verbo e forma, articolato nel «Quaderno n. 3» del «Cenobio-Visualità» dello stesso 1980, sotto il titolo di Sgeometrie.
Con la convinzione mallarmeana che poesia sia essenzialmente invenzione di linguaggio, e che arte voglia dire soprattutto invenzione (“senza invenzione non c’è arte”), il suo “esercizio della scrittura” appare sempre articolato in varie direzioni, ma i molti interessi culturali non sono mai estranei del tutto al lavoro fondamentale compiuto con e sulla “scrittura”. Ha raccolto una sorta di “summa” del suo pensiero in un volume dal titolo Anestetica, che ne evidenzia soprattutto la componente anarchica.
E' l'autore di una delle più meritevoli antologie di poesia visiva, intitolata "Il segno poetico" 1972. |
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