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Poesia lineare
Azzurro pari venerdì  |   È dopo  |   Lettera della terapia montana  |  Da “Partiture”   |  Quando penso dove  

Azzurro pari venerdì

Come devo comportarmi, domandai per sapere (per avere,
invece, si chiede) se l’ala nera sarebbe infine abbattuta.

L’astrologo disse: (il destino): generalmente buono,
sarà accaduto e non dovrà rimpiangere, di fianco la luna
falcata radiosa, considerando l’epoca, una piccola soddisfazione
(in pieno giorno galleggiare nel prato), la posizione
potrebbe indurla, di Urano o l’inverno che viene dagli spazi,
coincide con qualche amica o parente, non esiti a farlo,
procurandole notorietà (rumore di cesoie dal giardino),
allo scopo di screditarla, tenga sempre con sé il talismano,
sarà un mese piuttosto monotono.

E lo psichiatra disse: (a proposito del sogno): l’immagine
del bambino con la merda in mano è il mondo
largo luminoso vuoto stretto oscuro colmo elevato profondo
mobile impuro immobile sudicio contagioso disgustante
accogliente minaccioso illimitato doloroso
velenoso vischioso decomposto penetrante
fisiognomico ignominioso numinoso è il mondo
sanguinoso tagliente spermatico molle terrificante
dissipante vertiginoso appropriante metamorfico
vendicativo scaltro ostinato innamorato (sia chiaro

finché non finisci di penetrare nella penetrazione) ritorni
alla contemplazione (il cancello ha una leggiadra gualdrappa di edera) e
io risposi: che bella pace qui, dave gli oggetti scavano
la loro superficie: volevo voltarmi, ma è fuggita piangendo.

                                                                            (Povera Juliet e altre poesie, 1965)

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È dopo
al compositore Franco Evangelisti

I latrati, che vogliono dire? nella bruma,
non abbiamo intenzione, è l'insorgenza
del caso, quella vecchia infingarda sa
la cosa, ha cessato di essere privata, la
tua paura legge col cavo dell'occhio, la
tua paraforia intende nel cerebro vuoto.
Ma io-qui-ora, dolorosa sospensione, so
che non basta, non ammetto la conclusione,
non indulgo, è lo stesso, la noncuranza
si corruga. Con gli anni tutto diviene
simbolico, capire è un sentito dire, poesia
nient’altro che paralogia dei soliti discorsi.

I latrati la vecchia non sono irrelati, ma
non c’è congiunzione, o almeno è sclerotica,
sebbene, volendo, con gli anni il passo
diviene piú valgo, possa, l'affanno è al valico,
cuore e cura ridurre la tua sintassi.
Altra logica. E possa nello sterco secco
di naturali arabeschi verdi striati di bianco
e di ocra esaudire quel po’ di puerile bramosia
estetica che in te resta come l'eco del flauto.
Frena, ti prego, la tua pietà per i frenetici
aspetti, ascolta i latrati senza pensare
ai cani, coprile la faccia con un giornale.

Eh, il cielo impallidì, venne lo scroscio,
la musica è quella dei condotti di scarico,
la pioggia non spegne il camino, a ben vedere
la cosa, riparo nubi asfissiate dal fulmine
fogne meccanismi premonitori, è tautologica.
Il mastodonte troppo altamente adattato sparì
quando variò l’ambiente; e nella pioggia o bruma
possa andare e venire dentro di te ogni altro
(reciprocamente) giacché, utopia è più vera
della nostalgia, la vecchia governa i latrati.
Stormire, da dove verso che cosa, la fine stipata
dei simulacri fa soffrire, ma già è dopo, è dopo.

                                                                            (in I Novissimi, a cura di A. Giuliani, 1961)

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Lettera della terapia montana

caro padre ho dormito da leone e poi quando il sole innocente mi ha scrutato
con un lampo avevi ragione di colpo tutto solo mi sono affollato col naso e
le braccia spalando dietro i vetri che ho voglia di spezzare i cadaveri frizzanti
perché le boccate di fumo fanno voltare il sole e ho deciso di far crescere i baffi

ne risalta 1'intensità dell'intaglio intorno alla mascella atletica e sono
veramente utili al ricercatore di essenze dato che i bambini possono ferirmi mentre
attraverso l’atrio dell’albergo allontanandomi per le cieche distese finalmente
disabitate da quelli orribili embrioni con la coda urlanti e picchi di vigore

le mie punture interne devo agire con calma posarle sul cielo della punta dei peli
farle colare dalla schiuma delle palpebre è troppo pericoloso le conche si spengono
a una a una le vie di scampo il cuore non può essere il cuore non duole sgocciola
sarebbe opportuno dire più infastidito che feroce sono molto gentile con tutti

per celare la mia indipendenza anche la cugina di Marienbad è qui le sue ginocchia
a punta potrei servirmene lei che mi crede allibito dalla sua indecenza sprezzante
al Mandrillo Bianco in una gita del ’61 una vera mangiagalli col suo falsetto
di cucchiaino agitato in un bicchier d’acqua ci sono per fortuna i tappa-orecchie

così umide o seccbe le punte ingannano il sottile strato d’aria elettrizzato
dallo strofinio impalpabile e annoiato dei simboli e dello spazio di tre buchi
quadrati elevati ridicolmente nel vuoto spaventato di finestre e carbone l’aria
è piena di croci che scavano la neve e già sento la notte che trottano ispide

                                                                            (Il tautofono , 1969)

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Da “Partiture”

2.

Umani     alcuni     bizzarri     non contraffatti
coltivano macerie     hanno questa vocazione e arte

Quando pensa di mettersi lì in disparte a rosicchiare
gli ossi della memoria    uno scopre
che dessa se ne sta in un dentro-fuori derisori
accovacciata     torpida     alonata di luccichii morti
incurante dei ricordi     futura a tutte le sorti

Poeti     suoi visionari scrivani    rovistatori     trafficanti
di ciaffi e reliquie    vani collezionisti     devoti archivisti
e bibliotecari     febbrili lettori inadeguati
che sollevano coi polpastrelli inutilmente evoluti
la celibe polvere di sfiancate librerie     tutti
proprio tutti      l’animo spolpato    se ne vanno docili
o furenti al macero dell’immateriale
Non avendo capito a che porta quel rosicchiare

A ciò che succede    si crede e non si crede

Agli umani umanisti pare curiosa la storia    Dopo tanto
ancora recita farse e massacri per una memoria
che la ignora     è presente se non vuoi     a spreco
è solo presente     va rotolando il tempo indietro e
avanti nel poi     non è buffo?     finché non svampi e crepi

Perché bellezza insiste

Angeli dovremmo incontrare       per parlare

                                                                            (Partiture, s.d.)

3.

Quando penso dove

Quando penso dove      potrebbe trovarsi lo stato
ultimo     illuminato     buio     della mente
non dico originario     appena più riposante
basterebbe     di qual sia notizia dal mondo
non trovo niente     intravedo un andare sfibrato
barcollante nel delirio     e laggiù una lucina
un fotone ammiccante?     in fondo all’occhio

la citronella s’avvinghia leggera
al viburno                 per non piegarsi
inettamente      a terra

mi sono detto      appassionato     scancellato

non tiro i fili

compatisco distinguere

se il buio estremo coincidesse con la luce immobile
sarebbe innaturale chiedere spiegazioni o stupirsi

noi educati alla strabiliante provvisorietà di fioriture
monumenti continenti sentimenti luminosità di stelle morte

                                                                            (Partiture, s.d.)

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