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Martino Oberto
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Indicazioni bio-bibliografiche
Martino Oberto (1925-)

Nato a Genova, nel 1925. È nell’immediato dopoguerra che Martino Oberto si affaccia sulla scena genovese con i primi saggi filosofico-letterari (Discorso agli spiriti liberi; Discorso agli uomini pari, 1945) pubblicati su fogli politici giovanili.

Sono gli anni in cui la cultura cittadina trova i suoi poli in gallerie come l’«Isola» ed in riviste come «La voce degli intellettuali» o «Zodiaco» diretta da Ubaldo Gargani. In quel tempo Oberto vive a Pegli dove "nottambulo e festaiolo, libero e indipendente, spontaneamente anarchico", secondo la descrizione di Ugo Carrega, acquista "fama di giovane stravagante perché veste quasi sempre di nero". Sin da allora il suo impegno si divideva equamente tra filosofia, pittura e indagine letteraria. Legge testi futuristi, raccolti dal padre di Gabriele Stocchi. Legge Pound, Joyce, Cummings. Si accosta al Lettrismo. Su un grosso quaderno grigio compone nel 1948 una Teoria del valore tuttora inedita, saggio di estetica filosofica nutrito di suggestioni che dagli antichi si estendono sino a Nietzsche. Decisivo è l’incontro, attorno al 1953, con l’opera di Wittgenstein, nel cui Tractatus logico-philosophicus, riconosce - al di là dell’impianto assiomatico – l’esistenza di molteplici "sfrangiature poetiche", consonanti con la sua ambizione di realizzare un’ars philosophica. Nel 1955, giocando con la pluralità di senso dell’omofona preposizione greca (che vale: sopra, per, durante, contro, in proporzione) nonché con le funzioni privativa (da cui, appunto, an/archia) ed intensiva della vocale alfa, conia il termine ana, una sorta di "jolly", come lui stesso dice, sotto la cui sigla porrà tutta la sua produzione (dall’"anaphilosophia" all’"ana art", arte scritta, all’"anartattack", immagine della scrittura).

Nel frattempo accosta le punte avanzate della ricerca pittorica: è con il gruppo genovese del MAC alla Galleria B24 di Milano nel 1953; lo troviamo poi con gli Spazialisti nel 1956 alla San Matteo di Genova. La sua astrazione si distacca però dagli schemi geometrici dei primi e dall’intento dei secondi di ampliare lo spazio figurativo attraverso l’impiego di nuovi strumenti espressivi. Oberto punta soprattutto a misurarsi con l’"ineluttabile modalità del visibile" (è il titolo d’un quadro del 1959 ispirato ad un brano dell’Ulisse joyciano) a leggere "le segnature di tutte le cose" attraverso segni colorati portati al "limite del diafano", paradossalmente, attraverso una sovrapposizione di stesure che li rende indecifrabili.

Intanto realizza con Gabriele Stocchi (nel 1955) un film di montaggio su Ezra Pound, con il quale, dopo la liberazione dall’internamento psichiatrico ed il rientro in Italia, instaurerà un fecondo rapporto. Per un lungo periodo l’attività di Oberto - che ha preso a firmarsi OM e si va sempre più affermando anche nel restauro di celebri dipinti – s’incentra su «Ana etcetera», la rivista creata con Stocchi e Anna Oberto e diretta con quest’ultima per tutta la sua durata (1958-70). Nel ristretto laboratorio formatosi attorno alla rivista (che, attraverso una struttura a più livelli, dislocati in autonomi fascicoli, raccoglie e mette in circolazione materiali concernenti filosofia e linguaggio) si mettono a fuoco le basi teoriche ed operative di una delle tendenze più incisive degli anni '60: la poesia (o scrittura) visuale. Ugo Carrega le fornisce dimensione pragmatica con la proposta d’una scrittura simbiotica bandita nei quaderni di «Tool» (1965-67), nuova rivista creata con Rodolfo Vitone e Lino Matti.

Negli anni ‘70 s’intensifica l’attività espositiva, nel cui ambito spiccano le rassegne dedicate da Luigi Ballerini alla scrittura visuale italiana al Finch College di New York ed alla Galleria d’Arte Moderna di Torino (1973) e la personale «Ana art» del 1974 che segna l’apertura della galleria milanese «Il mercato del sale».
Nel decennio successivo Oberto si trasferisce a New York ed intraprende la traduzione in lingua inglese dei suoi testi anafilosofici, pubblicata da Campanotto nel 1993. Da ultimo, tornato in Liguria, OM avvia un nuovo lavoro trasformando la scrittura in immagine-groviglio, traccia al limite dell’astrazione; sopprimendone gli usuali svolgimenti comunicativi per situarci, sottilmente, di fronte all’impensato.