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Brevidia   |   Racconti da palpebra  |   da  Male!  

Brevidia
(prime vociferazioni per un Controddizionario)

1.

ricomincerò dalla tua faccia senza faccia tutta dita

perché se dico ti prendo la mano ti tocco
con queste parole che bucano l’aria

se ti prendo la mano se ti dico ti prendo
la mano ti tocco anche con le parole
con cui ti prendo intanto la mano

se sul silenzuolo ci prendiamo tutto 
che altro tocchiamo intangibili intatti
là dove si tocca ciò che non si tocca
con la mano e con la parola?

se noi ci scateniamo allo smontaggio del tatto
con silenzi incrociati a verbi scritti
e nomi d’azione e piccole verghe accentuate
che cosa rimonteremo se non quelle catenule
di polpastrelli tenui muscolature lisce?

2.

poetuum perpetuum perpoetuum
mobiltà ignobiliare
archepoétipo - illogìa...

in versità e sfinità io ti taccio
nel contraddizionario non sta scritto

il reato del reale 

il real dio unico e solodioìsta

il re azionario rivoluzionario passìto

3.

tambor shak-shak apocalipsonata
queh-queh marxquerade baile sobre zancos
tibisíri cùnfa bror estetica baulé
republica coperativa guyana

provincente il cosmoprovincialismo delle paràule poche?

provincìvano quando vincevano vincìvano
poi vinculi vincigli ai vìncidi
nel vinciboschivo pianetorottolo

vix vicario viceversario vicenniale
victo prima vittore poi invittoriale

vittima vittrice silenzio impennato fra le righe

4.

e dunque affermo che dubito del dubbio
e nel palpitobrare pituitrinario della pensata sarcarne
orazionacolarmente fabbricreerò teàntropi
ininfinibili contro il Monoteo ipocalittico
alloggiato sotto logìa di idee e critica-critica
delle idee - e sotto questa affermazione anche

e duberò titubiterò di tutto tranne che del tuo me
affermativo ammirativo esconclamante
definalizzato finalizzato così soltanto iniziale

inandando

5. impersonetto contumaciale

queste erozìe sarebbero e virali
(virus visos wiso per errata
tendenza nell’impiego dei finali
del suono rhō «veleno» surghignata)

per rotacismo dunque deformata
fu l’eco del silenzio con l’eròtilo
filtro venesnon personificata
Venus forma-desiderio ignòtilo

e sostantivo forse anche anfipròstilo
veneris dies o wünschen se non nuoi
escilinguare il cunniscilinguàgnolo

gli erotiléni virulutuléntuli
- o le erotìdie anfìcome se sciòi
e il penìculo amplexicante sventoli

6. epìstòla poetilinguagnolesca

in ceco e pištal canna e tubo
è pistol(e) in francese e Pistole in tedesco
epiteto scherzoso degli scudi spagnoli
d’oro e «doppie» ma poi pistolone
un tempo a mano sciolta a braccio libero
pistoletto pistola-fioretto
il pistoliere passò pistole(i)ro
e noi col pistolòtto più corto
che invece è il più lungo
                                        a Pistoia
le pistolese facevano pistolet de poche
come i pugnali che alla spada stavano
quanto il fucile alla pistola di corta
misura terzeruola pistoiese insomma
pistoriensis oro di pistola ventidue
carati o lire diciassette e ventiséttete
pìstola se vuoi parlare di questa intrema pistolenza

7. ufotìa

corpo completamente
apribile quasi nulla

manupedetenzione e per singola
introduttore altamente
competitivo in polvere

digitabile a comando
otticamente sfibrabile -
di che formato la fessura?

luceaccoppia ad alta
velocità – sapeste
quante al minuto

persino poetabile e personal

8. contrattacizione

alacriloquente il tuo è un tristilóquio
irsuta lallazione nel poetorio
senza giardino e senza purgazione

meglio tacere d’altro paràulando

9.

sentim un goig
en convidar totìus
a la ballaruga
nit espaterrantment
depravada d’esperança
totalmente esvalotada

10.

sst!... lama vestita fodero nudo
la piaga prensile non lascia
il filo che si è perduto

al manico resta un dito 
all’unghia un pelo d’aria

vena ballerina

                                          (in Poesia italiana oggi, a cura di M. Lunetta, 1981)

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Racconti da palpebra

Parleticamente

Del testo? Amico mio, del testo vorrei dirle che «il testo è silenzio», come concluse Squassalancia nel Castello di El Signore. Ma lei sa, noi siamo fatti della stessa immateria di cui sono fatti i segni, e la natura pateriale dei sogni intriga un po’ il discorso. Per le leggi del paterialismo storico e del maternalismo dialettico, lei capirà. E’ tutta amletteratura, e Debolbraccio dice bene, il Weakbras che lei ricorderà male. Marcia è la Manimorcia, disordinata, sguaiata anche il che è contraddittorio: se è «sottratta ai guai », perché «si sguaia» ancora? Omèlia, però e almeno, se ne è andata nel o col vento, e destinaviga verso il festuario finale. Corazio è morto, e si è finalmente convinto che ci sono meno cose in cielo che in terra di quante non possa capirne la sua lieteratura o la sua fobopsofía...
       Talcosa non va su queste righe, lo avverto anch’io, mi avverto della pericolamentéla continua di lutteratura. Dovrei obbedire, smettere subito perché, davvero, «silenzio è il testo », del resto.

Formati

Il Grande Racconto era già vicino al suo climax, quel(la) giornotte. E il Piccolo Racconto, che lo accompagnava e che si credeva un Romanzo Breve, gli dava molto fasteggio. La Battaglia di Acquachiusa battè il suo pieno. E il dodicibile capitolo capitolombolò sotto il cavallo della svolta necessaria, quella da imprimere all’Inenarrazione parodiosa. Gli Impersonaggi erano usciti quasi tutti dalle «Pietre o dell'Insoggettività». Sull’orizzonte rettangolato delle pagine i periodi galoppavano paratattotticamente o anche patri-otticamente, ma daccapo «a capo» si accanivano, e aggattívano. Il Tuono nuotava. E allegavano i denti, gli allegati delle allitterazioni: gli alligatari si legarono il Supersonaggio Superstite alle congiunzioni e alle congiunture per ben sette pagine epiloganti nella Palude Verbale. Piccolo era il Grande Racconto del Romanzo Breve come «romensonge». Naufragate ormai le parole nella Palude Immobile del Racconto Abile.
Irraccontato, ma da contare ancora.

Scrancrittura

Questo è importatile, dopo i portatili, racconti. L’ho scritto, se posso dirlo ancora, con la-macchina-per-non-scrivere, che cancella soltanto, una lettera scritta e cancellata subito, poi la seconda e niente, la terza, e silenzio, inchiostro bianco, antipatico. Ma è come vivere. Un secondo, e niente. Un nanosecondo, un pico-, e meno ancora. I respiri cancellano. Sulla lavagna-pagina dell’essere, l’inessere scancrive, scancrilla, si scriversa come qui: voi leggete, credete di. Qui è restata la traccia, e tractiando così mi tragino i cránculi metatétici che lasciano solo reticoli di segni al passaggio con cui indietreggiando cancrillano. Come, qui, non vedete, granciporri?

Ignotiziario

A Rumburg, nel 1915, uno strano paziente sbrigò quasi tutta la corrispondenza della clinica che in seguito fu destinata al trattamento dei disturbi nervosi contratti dai soldati cechi durante la guerra. Il paziente si chiamava Franz Kafka; e la clinica, Frankestein. Un bello (?) spirito cambiò nome all’uno e all’altro: dunque clinica di Frankz Kafkenstein. Qui andranno curati, ormai, Frank Einstein e Ice Ein Stein. Triambi hanno: processato il mondo, relativizzato l’Assoluto e filmato il «Poetiomkin». Sono incurabili, e noncuranti.

Tuttotìus

Un tempo incontravo l’Alter Ego. Lo salutavo, piuttosto differente io, e indifferente lui, purtroppo. Poi, una volta che c’ero, incontrai non solo l’Alter Ego, ma Toti Alteri Eghi. Rimanemmo interdetti perché interdicibili. Alla fine del silenzio ci guardammo interrogativamente:
                                                                                                                 - E adesso, chi è che deve sparire?
                                          - Ego, naturalmente.
Ma scomparendo intimai:
                           - Et Alteri!
Restò Toti. Toti noi.

                                     
                                                                                                                                            (Racconti da palpebra, 1989)

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da  Male!
Chlebnikováncina

idiosincronìe ciossarebbero
per
     Vladìm
e Vélimir        
               Maiaĸhlébnicovskiumosi

I

non volitano più
né poetelegrammi né versitronìe
Maiak! all’uomo terminale
interminabile ma terminato -
arriva tutto al porto delle tempie

fattografie! non più
fatti neppure solo procedimenti
o processi se vuoi dir meglio
le processionarie elettrironiche
ireniche ri-bellificanti perché no

e non più né meno
frusciano bandiere di seta
o cotonina dipinta sulla fronte
del secolo irrivelazionario
(piucchesettante settenne ormai è Ottobre)

non i bolscìachi più -
la "bolsce vita" era a Sai-go-on
l’insegna di un ristorattore
per giornottalisti intristrìti
nei night degli hotel ex-francesi ex-tutto

e non più tu - Maiak! -
"faro" di guardia e guardia di quel "faro"
ogni giorno ti sloghi il polso
con gli slogan dei komsomoltitudinari
contro le neocrazìe segrete ma non troppo

i sacchi dei cosacchi non meno
di più saccheggiano menti
facili a fasmagoríe  -
ogni sera "incatenati alle pellicciole"
di visione noi siamo dissognati...

né i din-don di nemici speroni
né il tontintinnìo delle teiere:
fra i denti del pettine radi capelli
strappicchiati con indolenza -
il pettine - dicevi - della storia

quelle metafore non più
trasportano senso ai sensori
"le ore sono nostre" ma gli orologi
dell’epoca sono "loro" e dentro
le loro nuche si satelletermina

sotto le croáte nessuno
più nasconde la gola e si salva -
sventolano ormai camicie tessute d’aria -
non si sa più che cosa denudare
coi fiorellini nei fiorifizi

ah lo stellame delle baionette
stellarminate di socialitudine!
solo i ladri e i poeti camminavano
di notte ma la notte
non c’è più: pornottiamo

e si è ricucito il frac-chiume
punto per punto virgola per virgola -
tornate sono ormai le Sconosciute
così conosciute e ri-conosciute
nelle nebbie reínnamormorate

ottobre è solo un mese -
novembre poi - fa già freddo d’estate
le cicatrici alle nuvole - vedi -
sono già invisibili - le elicotroniche
sanno mólcere - e non ci sono più

                                          (in Il pensiero, il corpo, a cura di F. Doplicher, 1986)

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